Biomasse e reti di teleriscaldamento. Le potenzialità per la Regione Veneto

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Intervista a Valter Francescato, direttore tecnico di Aiel, Associazione Italiana Energie Agroforestali

L’aumento del gas naturale e del gasolio hanno riportato l’interesse verso le biomasse. Ritiene che ci siano le condizioni per poter rivalutare il settore e se sì, per quali ragioni?

Anzitutto va rilevato che, mentre il prezzo del gasolio aveva mostrato anche in passato una elevata volatilità, per la prima volta ci si è resi conto (spero) che puntare ancora così tanto sul gas naturale per la climatizzazione degli edifici, per il calore di processo e per la produzione di energia elettrica non è stata una scelta lungimirante per il nostro paese. Negli ultimi 30 anni le emissioni clima alteranti del riscaldamento si sono mantenute pressoché costanti a circa 70 Mt, di fatto è cambiato il mix di utilizzo dei combustibili fossili (principalmente sostituzione del gasolio e altri combustibili fossili liquidi con gas naturale) senza una significativa riduzione delle emissioni clima alteranti, basata sullo sviluppo delle rinnovabili. La decarbonizzazione del settore riscaldamento è un elemento chiave per raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei e nazionali al 2030 che, di fronte a questi dati, risultano davvero poco credibili. È arrivato il momento di accelerare concretamente la decarbonizzazione del riscaldamento degli edifici e, nel caso delle aree montane e rurali della nostra regione, bisogna puntare in modo deciso sullo sviluppo di filiere legno-energia locali, con moderni impianti centralizzati a cippato anche collegati a reti di teleriscaldamento, replicando alcune buone pratiche già attive da diversi anni anche in Veneto e nell’area bellunese. È davvero paradossale, per esempio, riscaldare gli alberghi ubicati nelle Dolomiti patrimonio UNESCO ancora con i combustibili fossili! Scelte per me incomprensibili dal punto vista ambientale e imprenditoriale.

L’aumento del gasolio ha alzato anche i costi del trasporto, ma perché importiamo una notevole massa di cippato dall’estero quando abbiamo i boschi fuori casa?

A me non risultano importazioni significative di cippato, mentre certamente siamo molto dipendenti dall’import di pellet e ancora di più di legna da ardere. Vorrei ricordare che in Veneto consumiamo circa un milione di tonnellate di legna da ardere e almeno la metà (molto prudenzialmente) non è di produzione regionale e nemmeno nazionale. I bancali di legna che si vedono nei piazzali dei commercianti non sono di origine nazionale. Nel caso del cippato, invece, c’è – in questo momento – un “problema” di surplus di cippato forestale sul mercato locale, in particolare quello di tipo “industriale”, adatto ad alimentare impianti di media e grande taglia, che molte imprese boschive – anche bellunesi – sono costrette a trasportare a centinaia e a volte perfino a migliaia di chilometri, per trovare un acquirente. Il surplus di questi sottoprodotti forestali è legato, in buona parte, alla pressione dei cambiamenti climatici sui soprassuoli forestali montani e alpini (schianti e infestazioni di insetti) che continuerà anche nei prossimi anni.

Come incentivare la produzione di cippato locale?

Più che la produzione va incentivato il consumo locale di cippato in sostituzione alle fonti fossili. È necessario sostenere gli investimenti per realizzare sul territorio impianti termici centralizzati e cogenerativi, anche a servizio di reti di teleriscaldamento e processi produttivi industriali che ci permettano di accorciare la filiera del cippato industriale e valorizzare localmente questa energia primaria locale in impianti efficienti e in grado di riconoscere alle imprese forestali un prezzo dell’energia (€/MWh) adeguato. Il prezzo del cippato forestale ha subito aumenti di prezzo limitati finora e non prevediamo aumenti significativi in futuro, anche se un adeguamento è necessario. Dobbiamo ridurre quanto più possibile i trasporti di questo combustibile, valorizzandolo in processi produttivi “nobili” e nella climatizzazione invernale a scala locale mantenendo il valore aggiunto di sostituzione dei combustibili fossili sostituiti nell’economia locale, equamente distribuito nei segmenti della filiera.

Ritiene che le piccole reti di teleriscaldamento possano essere la soluzione per il riscaldamento di piccoli borghi o “comunità energetiche”?

Certamente, si tratta di soluzioni assolutamente allo stato della tecnica sia per la produzione di calore sia per la cogenerazione anche di piccola taglia (mini e micro-cogenerazione). Si parla molto di “comunità energetiche” ma pare che l’unica soluzione sia la produzione di energia elettrica con il fotovoltaico. L’auspicio è che si punti, invece, in particolare in ambito montano, anche su impianti ibridi che consentono di produrre calore ed energia elettrica integrando in modo corretto le varie rinnovabili, incluse le biomasse. In questo senso esistono già soluzioni allo stato della tecnica che combinano le pompe di calore e il fotovoltaico con moderni e performanti impianti tecnologici a biomassa legnosa ad emissioni di polveri e carbonio organico quasi zero.

Quali i limiti e le opportunità?

A mio parere serve anzitutto una politica regionale che sostenga questi investimenti, anche in combinazione con gli strumenti incentivanti già disponibili a livello statale, penso soprattutto al Conto Termico e ai Certificati Bianchi. Altre regioni, come la Lombardia, recentemente lo hanno fatto per i Comuni montani. Abbiamo l’opportunità di riattivare la filiera di valorizzazione del legno locale, inclusa la filiera energetica, creando molti nuovi posti di lavoro in aree che soffrono lo spopolamento e una preoccupante crisi demografica. Ricordiamoci, infine, che il prelievo legnoso in Veneto è ancora fermo al 30% dell’incremento annuo.

(Questa intervista è stata pubblicata sulla rivista Crescere col Centro edita da centroconsorzi.it)