Fact checking sull’articolo “Trasparenza in fumo” de Il Salvagente

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Un dossier di 11 pagine, piene di errori e accuse infondate sull’uso energetico della biomassa legnosa, smontato pezzo dopo pezzo

In questo mese di dicembre, la rivista “Il Salvagente”, dedica un lungo articolo intitolato “Trasparenza in fumo” al pellet e più in generale all’uso energetico della biomassa legnosa.

L’articolo, nonostante un’intervista ad AIEL incentrata esclusivamente sul tema della certificazione di qualità del pellet ENplus®, contiene errori gravi che denotano una conoscenza superficiale del settore forestale, della filiera legno e delle normative europee e nazionali che li regolano.

Per rispondere alle infondate accuse lanciate nelle 11 pagine dell’articolo, AIEL ha deciso di realizzare un fact-checking puntuale per correggere gli errori più grossolani.

Il primo grande errore di approccio al tema della produzione di energia da biomassa legnosa è di fare confusione tra l’uso della biomassa legnosa nelle grandi centrali per la produzione di energia elettrica e l’uso del pellet nel riscaldamento domestico per la produzione di energia termica. Si parla di pellet al consumatore finale che lo usa per riscaldare la propria abitazione utilizzando argomentazioni che fanno invece riferimento alle grandi centrali dissipative a biomassa che producono energia elettrica. Parlando agli uni dei problemi degli altri, si confondono i piani del discorso, fornendo un’informazione parziale e distorta che non aiuta i consumatori a scegliere in modo libero e informato.

Veniamo al fact checking vero e proprio.

Manca una normativa europea sulla tracciabilità della materia prima legnosa [FALSO]

Fin dal 2010 l’Ue si è dotata di un Regolamento, il 995/2010, noto come EU Timber Regulation (EUTR), allo scopo di assicurare che tutto il legname e i prodotti da esso derivati immessi e commercializzati nel territorio europeo siano di origine legale. Le aziende che immettono per la prima volta legname e prodotti derivati nel mercato comunitario, definiti “operatori”, devono mantenere un “sistema di dovuta diligenza” documentato che permetta l’individuazione dell’origine del legno, la valutazione del rischio associato ed eventualmente, laddove il rischio di origine illegale non possa dirsi trascurabile, l’attuazione di adeguate misure di mitigazione e ulteriori controlli, oppure il divieto tout-court di immissione e commercializzazione dei prodotti nel mercato europeo.

L’EUTR si applica sia ai prodotti d’importazione, sia a quelli che originano da foreste europee. I sistemi aziendali di dovuta diligenza sono a disposizione delle autorità competenti (in Italia, i Carabinieri forestali) che compiono regolarmente controlli sulla corretta applicazione del Regolamento e i cui risultati aggregati sono peraltro pubblici.

Di recente è intervenuta un’ulteriore revisione della normativa, e l’EUTR è stata trasformata in EUDR, regolamentazione contro la deforestazione. Il nuovo regolamento, già in vigore e nel suo periodo di transizione, obbligherà gli operatori a trasmettere alle Autorità di controllo informazioni accurate circa le coordinate geografiche da cui è stato tratto il materiale legnoso. Inoltre l’approccio si estenderà non più soltanto alla legalità d’origine, bensì espressamente al divieto che il legname provenga da aree deforestate o addirittura degradate, e ampliando di molto il numero di filiere e operatori a cui esso si applicherà.

In proposito, è significativo che il nuovo Regolamento EUDR si estenda, oltre al legno, anche alle filiere agricole e zootecniche della soia, palma da olio, caffè, cacao, gomma naturale e dei bovini, indicando che spesso la deforestazione non origina dal mondo forestale in senso stretto, ma da altre filiere esterne ad esso.

Oltre all’EUTR (e all’EUDR), un’altra normativa europea che impone il controllo delle filiere consiste nella cosiddetta Direttiva sulle energie rinnovabili, nota come “RED II” e ora anch’essa revisionata (RED III). La Direttiva impone che le biomasse agricole e forestali destinate alla valorizzazione energetica in impianti incentivati di potenza superiore a 20 MW (ora 7,5 MW, con la RED III) debbano disporre di una certificazione di sostenibilità. Nel caso del materiale forestale, questo implica sia la provenienza da foreste gestite in modo responsabile, sia la riduzione dei gas serra abbinati alle filiere di produzione almeno dell’80% rispetto ai combustibili fossili.

Ne consegue che, non solo non c’è alcuna vacatio legis rispetto alla tracciabilità delle filiere, ma la legalità d’origine è normata per tutte le filiere produttive legate al legno, non soltanto a quelle del pellet.

A questo punto può essere utile approfondire e spiegare i concetti di sostenibilità, tracciabilità e trasparenza delle filiere che sono tre aspetti senz’altro interconnessi, ma diversi l’uno dall’altro. La sostenibilità forestale di una filiera di produzione e distribuzione del pellet si realizza se l’approvvigionamento della materia prima, il legname, prende avvio da foreste gestite in modo responsabile. Con tracciabilità dei prodotti e delle materie prime si intende quell’insieme di strumenti e meccanismi che permettono di risalire all’origine della filiera, per dimostrarne la sostenibilità. La trasparenza della filiera, invece, è quando l’insieme delle informazioni di sostenibilità e tracciabilità sono rese disponibili liberamente al pubblico.

È più che legittima e meritoria l’aspettativa dei consumatori di pellet che le filiere di approvvigionamento delle materie prime siano sostenibili e che esistano meccanismi obbligatori di tracciabilità. Questi meccanismi non solo esistono, ma sono cogenti e applicabili a tutte le filiere europee del legno!

E se i consumatori desiderano avere un’ulteriore garanzia della sostenibilità d’origine delle materie prime utilizzate per la produzione di pellet, possono prediligere nei loro acquisti quei prodotti che dispongono di una certificazione forestale (es. FSC®, PEFC) rilasciata da Organismi indipendenti: si tratta del più potente strumento a disposizione del consumatore!

Al contrario, la pretesa che ogni filiera commerciale renda pubblici i propri canali di approvvigionamento viola ogni più basilare logica commerciale e rappresenta un pretestuoso attacco al settore.

Le stesse certificazioni di catena di custodia FSC e PEFC non permettono al consumatore di accedere direttamente all’informazione sull’esatta origine geografica delle materie prime: il prodotto, pur certificato all’origine, viene accompagnato nelle successive filiere di trasformazione, produzione e distribuzione da una dichiarazione di certificazione “di filiera” che non corrisponde ad un certificato d’origine geografica, perché ciò che davvero conta non è tanto la singola e specifica origine geografica, quanto la garanzia della sostenibilità all’origine.

Le certificazioni che esistono al momento sono volontarie [TENDENZIOSO]

Come in ogni settore, anche nel settore forestale una certificazione volontaria consente alle aziende di valorizzare i propri prodotti grazie all’ottenimento di una certificazione da parte di un ente terzo esterno e indipendente che attesta la conformità ad uno specifico standard. In questo modo le organizzazioni possono differenziarsi e mettere in risalto le peculiarità delle proprie produzioni, comunicandole al mercato di riferimento.

Le certificazioni volontarie esistono in qualsiasi filiera perché le aziende si trovano costantemente a fronteggiare le richieste espresse da clienti, consumatori e stakeholder in merito alla qualità, legalità e sostenibilità dei loro prodotti. La volontarietà dell’adesione a una certificazione, sia essa di qualità del prodotto come ENplus® o di gestione forestale responsabile come FSC o PEFC, viene invece più o meno esplicitamente valutata nell’articolo come una condizione non sufficiente a rendere un settore legale, dimenticando che la certificazione ENplus® si basa sulla norma tecnica ISO 17225-2, ed è alla norma tecnica (e non alla certificazione) che si rifanno le normative regionali, quelle sì obbligatorie, che regolano gli utilizzi del riscaldamento domestico a biomassa legnosa.

Al netto delle certificazioni forestali, infine, esiste il già citato regolamento europeo EUTR (e dal 30 dicembre 2024 EUDR) che si applica ogni qual volta un materiale legnoso entra nel territorio dell’Ue, esigendone la verifica dell’origine legale.

La biomassa legnosa non può essere annoverata tra le fonti di energia rinnovabile [FALSO]

Le biomasse legnose sono una fonte di energia rinnovabile e anche la REDIII di recentissima emanazione lo conferma senza dubbio alcuno. La valorizzazione energetica delle biomasse forestali comporta l’emissione di CO2, riconducibile alla composizione chimica del legno stesso. Tuttavia in primis è fondamentale distinguere l’origine del carbonio legato all’uso delle biomasse e quella del carbonio rilasciato dalle fonti fossili: la combustione di fonti fossili rilascia carbonio che è stoccato (immobilizzato) nel sottosuolo da milioni di anni (carbonio non biogenico), risultando quindi un’immissione netta in atmosfera ad opera dell’Uomo; la combustione di biomassa legnosa comporta, invece, l’emissione di carbonio biogenico, riconducibile a un ciclo chiuso, breve e naturalmente in atto.

In secundis è bene spiegare con esattezza cosa succede al ciclo del carbonio (biogenico) nel momento in cui si taglia una pianta. Effettuare prelievi legnosi genera un temporaneo debito carbonico: cioè uno scarto temporale tra l’emissione di CO2 in fase di combustione il suo successivo riassorbimento grazie all’accrescimento del bosco dopo il prelievo. Il debito carbonico viene ripagato nel tempo necessario alla foresta per ricostruire la biomassa prelevata e compensare l’assorbimento che si sarebbe verificato in assenza di prelievo legnoso (tempo di parità carbonica).

Fonte: Progetto Usefol.

Al concetto di “temporaneo debito di carbonio” va infine affiancato quello per cui la capacità di assorbimento della CO2 di un bosco non va considerata a livello di singolo albero o di singola particella forestale (cioè la più piccola parte in cui è suddivisa la superficie del bosco quando ne viene pianificata la gestione), bensì a livello più ampio di soprassuolo forestale. Là dove una particella forestale viene tagliata, nello stesso momento, un’altra particella forestale confinante sta crescendo e assorbendo CO2. Quando la biomassa proviene da foreste in cui gli stock di carbonio sono stabili o in aumento, come nel caso italiano ed europeo, le emissioni della bioenergia al momento della combustione sono compensate dalla crescita delle foreste in cui è stato prodotto il combustibile. Questo a maggior ragione quando, nell’applicazione del principio dell’uso a cascata del legno, una parte del legno tagliato viene utilizzata per produrre prodotti durevoli (stoccando il carbonio del legno per lungo tempo, senza riemettere CO2 in atmosfera).

Non bisogna bruciare biomassa legnosa per fare energia [FALSO]

Nel ribadire che la produzione di energia elettrica in grandi centrali a biomassa e la produzione di energia termica in impianti di cogenerazione o in sistemi di riscaldamento di piccola media taglia sono due ambiti energetici ben distinti, è importante sottolineare che i biocombustibili legnosi sono uno dei prodotti della filiera legno gestita secondo il principio dell’uso a cascata.

Per uso a cascata del legno si intende l’impiego del legno in più fasi, per prima cosa come materia prima o materiale da costruzione; successivamente, il legno non adatto a utilizzi di tipo strutturale o risultato degli scarti di lavorazione viene destinato alla produzione di energia, innescando quindi un uso efficiente e “circolare” della risorsa legnosa. Utilizzare il legname in forma di prodotto durevole (come materiale da costruzione, mobili, ecc.) permette di stoccare carbonio per l’intero ciclo di vita del prodotto stesso.

L’uso a cascata della biomassa legnosa è un principio essenziale che costituisce il fulcro delle normali dinamiche di mercato: il materiale legnoso di alta qualità, con un valore più alto, viene impiegato nella produzione di legname e per creare prodotti durevoli. Di conseguenza, il materiale di qualità più bassa e più economico viene utilizzato per scopi energetici.

La stessa Commissione Europea in un documento-guida dedicato all’uso a cascata della biomassa riconosce che, laddove un diverso uso non sia economicamente sostenibile o appropriato per l’ambiente, la valorizzazione energetica della biomassa contribuisce a ridurre l’impiego di combustibili fossili.

Questa “cascata economica” garantisce che i residui dell’industria del legno vengano utilizzati a fini energetici e che vengano valorizzati tutti gli assortimenti e le destinazioni d’uso ottenibili dalle piante. La stessa Unione europea, nel testo della RED III, indica la ragionevole possibilità di derogare dall’uso a cascata del legno in circostanze debitamente giustificate, ad esempio dove sia necessario per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, oppure qualora non vi siano industrie o impianti di trasformazione che potrebbero fare un uso a più alto valore aggiunto di determinate materie prime e il trasporto su lunghe distanze non giustificherebbe l’approccio a cascata sotto il profilo economico o ambientale.

L’uso energetico della biomassa legnosa mette in pericolo l’esistenza stessa delle foreste [FALSO]

Secondo Eurostat, le riserve di legname nelle foreste dell’UE27 sono aumentate in tutti gli Stati membri, con una crescita del 30,6% a livello dell’UE nel periodo 2000-2020. L’aumento maggiore è stato stimato per Irlanda (130%), Francia (64%), Cipro e Italia (52%), mentre, un aumento più moderato è stato stimato per Svezia (14%), Repubblica Ceca (11%) e Slovenia (6%). In Italia il bosco si estende su oltre 11 milioni di ettari, pari al 36% della superficie nazionale. Negli ultimi 50 anni la superficie forestale nel nostro Paese è raddoppiata e ancora oggi continua a crescere. Secondo il Rapporto sullo stato delle foreste e del settore forestale, in Italia la quantità annuale di legname prelevato dai boschi mediante operazioni selvicolturali è compresa tra il 18% e il 34% dell’accrescimento annuale del bosco, a fronte di una media europea che si attesta intorno al 73%: un dato che posiziona l’Italia al penultimo posto in Europa davanti solo all’isola di Cipro.

Questi dati dimostrano che né i boschi europei, né, tantomeno, i boschi italiani sono sovrautilizzati. Al contrario, i boschi italiani soffrono di uno stato di abbandono che impedisce al Paese di valorizzare correttamente la propria risorsa legnosa. Se le biomasse forestali fossero utilizzate in maniera più efficiente, sostenibile e adottando il modello a cascata, sarebbe possibile aumentare il valore prodotto dai boschi italiani e contribuire a stabilizzare la filiera locale e nazionale del legno, limitando le importazioni di legname e di combustibili legnosi. Il basso tasso di prelievo comporta invece una forte dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di legno e legname per l’industria, nonché per l’importazione di legna da ardere, pellet e cippato. A fronte di settori industriali solidi e competitivi su scala internazionale legati ai prodotti a base di legno e cellulosa (mobili, carta, fibre) la domanda di materie prime legnose, semilavorati in legno e biocombustibili legnosi non è soddisfatta da risorse forestali nazionali, se non in misura parziale. La pianificazione forestale è lo strumento indispensabile per tutelare e valorizzare le funzioni ecosistemiche in una prospettiva di lungo periodo nonché per alimentare in modo sostenibile le filiere produttive di beni e utilità.

Ci troviamo di fronte a una sovrapproduzione di pellet rispetto alla sua necessità [FALSO]

L’articolo de Il Salvagente cita uno studio di Legambiente, secondo cui la produzione italiana di pellet ammonterebbe a 300.000 tonnellate; ma FAOSTAT, ad esempio, richiama i dati rilasciati da Bioenergy Europe e dalla stessa AIEL, stimando in 450.000 le tonnellate di pellet prodotte in Italia. Ecco che appare quanto mai inesatto parlare di “sovrapproduzione”: il consumo italiano si aggira intorno alle 3 milioni di tonnellate (come peraltro ricorda lo stesso articolo, con una evidente contraddizione interna).

Se invece la tesi era che questa quota di energia rinnovabile potrebbe essere soddisfatta utilizzando altre fonti energetiche, è importante ricordare che il pellet è, senza dubbio alcuno:

  • una fonte di energia rinnovabile
  • una fonte energetica rinnovabile che va considerata all’interno di un mix di tecnologie rinnovabili;

e che le biomasse legnose oggi contribuiscono al 64% della produzione totale di energia rinnovabile termica, rivelandosi una soluzione tecnologicamente matura e imprescindibile per la transizione energetica nazionale.

Per quanto riguarda il mix energetico delle fonti rinnovabili, l’articolo lamenta l’impossibilità per i consumatori di conoscere l’esatto mix energetico che compone la quota di fonti di energia rinnovabile, dimenticando che il GSE, Gestore dei Servizi Energetici, pubblica periodicamente statistiche molto accurate.

In Italia si è creato un sistema di incentivazione all’utilizzo di pellet anche a livello domestico (tramite incentivi per l’acquisto del combustibile, delle stufe o destinati alle aziende che producono pellet) [FALSO]

Aiel e le imprese della filiera legno-energia che rappresenta sono sempre state a favore di una promozione e sviluppo delle bioenergie orientati verso i modelli per produrre energia termica a scala domestica come il teleriscaldamento e la cogenerazione di piccola e media scala al servizio delle comunità locali, secondo un approccio locale e sulla base delle disponibilità del territorio. Questo approccio non va confuso con quello delle grandi centrali termoelettriche alimentate a biomassa tipiche di Paesi come Germania e Danimarca, e con il relativo sistema di incentivi europeo.

Contrariamente a quanto affermato da Gaia Angelini, presidentessa di Green impact, non esiste attualmente alcun incentivo “per l’acquisto del combustibile, delle stufe o destinato alle aziende che producono pellet”. Va invece ricordato che il sistema di incentivazione a livello domestico attivo in Italia, cioè il cosiddetto Conto Termico, ha come principale obiettivo non “l’incentivazione all’utilizzo di pellet a livello domestico”, bensì la riqualificazione energetico-ambientale del parco apparecchi installati al fine di migliorare la qualità dell’aria, bene pubblico la cui difesa è priorità comune. Infatti, l’incentivo Conto Termico consente esclusivamente la sostituzione di stufe e impianti a biomassa già installati vecchi e obsoleti, caratterizzati da elevati livelli di emissioni, con apparecchi moderni ed efficienti che garantiscono un livello di emissioni da 4 a 8 volte inferiori. Per accedere all’incentivo è inoltre necessario dimostrare l’acquisto di biocombustibili di qualità certificata. Si tratta, dunque, a tutti gli effetti, di un incentivo alla rottamazione e alla riqualificazione energetica che è fondamentale mantenere e anzi rafforzare in termini di facilità di accesso e riduzione degli impedimenti burocratici, perché la parte prevalente delle emissioni di PM10 del riscaldamento a biomasse proviene da stufe e caminetti vecchi e caratterizzati da tecnologie di combustione superate. Gli apparecchi a legna e pellet installati in Italia da più di 10 anni sono il 70% del parco installato, circa 6,3 milioni, e contribuiscono all’emissione dell’86% del PM10 derivante dalla combustione domestica della biomassa (AIEL, 2020). Per questa ragione è fondamentale incentivare la loro sostituzione con sistemi di riscaldamento a legna e pellet moderni ed efficienti.

E ogni euro speso per incentivare la filiera legno-energia ha l’effetto, oltre a quello sopra espresso, anche di abbassare i consumi degli stessi biocombustibili legnosi. Il caso studio della provincia di Mantova fa scuola: https://energiadallegno.it/bandi-locali-biomassa/

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Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Un traguardo climatico 2030 più ambizioso per l’Europa. Investire in un futuro a impatto climatico zero nell’interesse dei cittadini. 2020. (link)

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Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030. 2021 (link)

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