La guerra in Ucraina, l’embargo su Russia e Bielorussia, la dipendenza dell’Italia agli approvvigionamenti esteri, così si spiega il rialzo del prezzo del pellet 2022. L’unica soluzione strutturale è in politiche nazionali finalizzate a incrementare la produzione interna
L’estate è il periodo dell’anno in cui, usualmente, i consumatori di pellet più avveduti fanno scorta di materiale, sfruttando una stagione – definita “prestagionale” – in cui i prezzi del pellet subivano tradizionalmente una flessione fisiologica rispetto al costo invernale.
Tuttavia, quest’anno il prezzo del pellet non ha seguito l’andamento usuale e fin dalla primavera si sono susseguiti forti aumenti dei prezzi che ormai hanno portato il costo al dettaglio su valori mediamente doppi rispetto a quelli registrati l’anno scorso nello stesso periodo.
Al rialzo dei prezzi si è poi aggiunta la difficoltà crescente dei rivenditori e di conseguenza dei consumatori nel reperire il pellet sul mercato.
I motivi della “tempesta perfetta”
Questa situazione spinge molti consumatori a chiedersi se il mercato del pellet stia vivendo gli effetti di una speculazione giustificata solo in apparenza dalle tensioni internazionali. In realtà, il mercato del pellet sta affrontando una “tempesta perfetta”, alimentata da un fitto insieme di fattori concomitanti.
Guerra in Ucraina
Innanzitutto, è necessario ricordare che l’approvvigionamento italiano di pellet dipende dalle importazioni dall’estero che prevalgono nettamente rispetto alla produzione nazionale. Questa condizione fa sì che le incertezze e le tensioni dei mercati internazionali investano anche il nostro mercato.
Uno dei driver principali delle difficoltà attuali è sicuramente la guerra in Ucraina, per ragioni sia dirette sia indirette.
In seguito all’aggressione militare russa, l’Unione Europea ha varato una serie di sanzioni economiche che, tra gli altri prodotti, hanno previsto il bando alle importazioni di legname proveniente da Russia e Bielorussia. Il venire meno dei flussi russi e bielorussi, e l’ovvia riduzione dei flussi ucraini, ha determinato una contrazione diretta del mercato italiano del pellet non inferiore al 10% delle quantità commercializzate annualmente nel nostro Paese.
Indirettamente, le sanzioni economiche hanno comportato anche la riduzione di materia prima idonea alla produzione di pellet in Europa. Infatti, i divieti all’importazione investono l’intero settore del legname – non solo il pellet – la cui lavorazione negli stabilimenti europei rendeva disponibili ingenti quantità di scarti e residui (segatura) da cui era possibile produrre pellet.
Embargo contro Russia e Bielorussia
Inoltre, le nazioni che si approvvigionavano maggiormente da Russia e Bielorussia (quali ad esempio il Regno Unito, i Paesi baltici e quelli dell’Europa centro-settentrionale) hanno ridotto le proprie esportazioni per soddisfare i propri fabbisogni interni e i flussi d’export residui hanno subìto repentini rialzi nei prezzi. Si stima infatti che, a livello europeo, l’interruzione dell’approvvigionamento da Russia, Bielorussia e Ucraina abbia creato una carenza complessiva di circa 3 milioni di tonnellate di pellet. Alcuni Paesi (Bosnia Erzegovina, Ungheria, Serbia) hanno addirittura introdotto alcune misure protezionistiche volte a tutelare i propri mercati interni, accentuando quindi le difficoltà dei commerci internazionali.
Competizione col segmento industriale
All’aumento della competizione interna al segmento domestico del mercato del pellet, si è poi aggiunto quello ben più grave interno al settore industriale, rappresentato dalle grandi centrali nord-europee alimentate a biomasse per la produzione elettrica e cogenerazione. Infatti, lo shock nei prezzi dell’energia causato dalle tensioni internazionali ha spinto tali impianti ad aumentare la produzione energetica da fonti alternative a quelle tradizionali poiché divenute ben più convenienti, facendo quindi ricorso e intensificando l’approvvigionamento di pellet.
Oggi, quindi, il segmento premium (domestico) non ha alcuna capacità di calmierare i prezzi a causa di una feroce concorrenza con il settore industriale di Paesi come Regno Unito, Belgio, Danimarca e Paesi Bassi: le grandi centrali continueranno ad aggiudicarsi il pellet, sottraendolo al mercato domestico, fino a quando potranno acquistarlo a prezzi elevati, comunque convenienti rispetto ad altre opzioni energetiche.
Crescita del segmento domestico
Alle cause esterne si aggiungono anche quelle interne al settore: in primis, l’aumento della domanda di pellet in Europa, dovuto all’andamento fortemente positivo delle vendite e delle nuove installazioni di generatori di calore a pellet (stufe e caldaie) in alcuni Paesi, in particolare Francia e Austria, sia in risposta all’impennata dei costi energetici, sia stimolata dalle politiche attive adottate in diversi Paesi europei per il superamento della dipendenza dalle fonti energetiche fossili.
In altre parole, la domanda di pellet in Europa si è sviluppata velocemente e l’offerta deve ancora reagire e adattarsi pienamente ai nuovi livelli richiesti dal mercato. Paradossalmente, anzi, nel breve periodo potrebbe verificarsi persino una diminuzione della capacità produttiva europea: la congiuntura negativa nel mercato dei prodotti legnosi segati e semi-lavorati, unitamente ai già ricordati effetti delle sanzioni economiche contro Russia e Bielorussia, probabilmente porterà a una minore disponibilità di materia prima (segatura) necessaria a produrre pellet.
La riduzione della quantità di materia prima potrà peraltro accompagnarsi all’aumentare del suo prezzo di acquisto, con effetti negativi sui costi di produzione del pellet che potranno quindi aumentare. In proposito, una recente indagine dell’associazione proPellets Austria ha evidenziato che i costi di produzione del pellet sono già aumentati di oltre il 40% rispetto all’anno precedente a causa degli aumenti nel costo dell’energia, della materia prima legnosa, degli elementi meccanici della produzione, degli imballaggi e dell’inflazione.
Difficoltà sul fronte della logistica
Profonde difficoltà sconta anche la logistica di distribuzione delle merci, ancora afflitta dalle regolamentazioni e dalle conseguenze della pandemia (inclusa la scarsità endemica di autotrasportatori, acuita dalla guerra ucraina) e da alcune distorsioni del commercio mondiale. Eclatante, in tal senso, è l’esempio dato dalla tratta sudamericana, per la quale il costo di movimentazione dei container via nave è aumentato in breve del 700%, passando da 1.000 a 7.000 $/container.
Il comportamento del consumatore
A tutto questo si aggiunge infine un certo nervosismo del mercato e dei consumatori che, avvertendo il rischio dell’interruzione degli approvvigionamenti durante la stagione invernale, talvolta reagiscono irrazionalmente acquistando più materiale di quanto non sia effettivamente sufficiente a scaldare la propria abitazione.
Anche i comportamenti individuali, quindi, concorrono ad alimentare la diminuzione della disponibilità di pellet sul mercato, di per sé già ridotta.
Cosa fare per prepararsi all’inverno?
Quella che sta attraversando il mercato del pellet è quindi una “tempesta perfetta”, alla cui base ci sono condizioni oggettive e non meramente speculative. È peraltro difficile che la situazione attuale possa riassorbirsi nel corso della prossima stagione termica, durante cui i flussi d’importazione da Paesi come Germania, Austria e Paesi baltici diminuiranno fisiologicamente. È perciò utile che i consumatori continuino a pianificare oculatamente e preventivamente i propri acquisti insieme ai rivenditori di fiducia, in modo da non concentrare gli acquisti in un periodo dell’anno, l’inverno, in cui le tensioni del mercato potrebbero rendere difficile il reperimento del materiale.
Raccomandazioni analoghe sono state rilasciate da un certo numero di organizzazioni europee e associazioni del pellet, tra cui Francia, Austria e Svizzera, solo per citarne alcune tra quelle dei Paesi confinanti con l’Italia. Nei propri comunicati, le associazioni europee esprimono la comune convinzione che il mercato europeo del pellet saprà reagire alle attuali sollecitazioni con un aumento dei livelli produttivi, anche se i processi di adeguamento dei livelli d’offerta avranno bisogno del giusto tempo per essere realizzati compiutamente. Ad esempio, è previsto che nel 2023 verranno inaugurati 11 nuovi impianti produttivi in Austria, in Francia la capacità produttiva nazionale potrebbe addirittura raddoppiare entro il 2028.
Anche in Italia si registra un nuovo e recente interesse per l’insediamento di nuovi impianti locali di produzione di pellet. L’avvio di politiche nazionali volte ad aumentare la produzione sarà quindi fondamentale per ridurre le dipendenza dalle importazioni estere.