Il 31 luglio è stato pubblicato su La Stampa un articolo dal titolo “La guardiana del boschi” che sembra avere il nobile intento di rendere consapevole il lettore dell’importanza di boschi e foreste, evidenziando la difficoltà che molte foreste, non solo in Italia, stanno affrontando a seguito della crisi climatica. Questo racconto, tuttavia, fra semplificazioni e generalizzazioni, rischia non tanto di informare il lettore quanto di confonderlo.
I boschi italiani sono un patrimonio comune legato alla storia e alla cultura del nostro territorio e gli ecosistemi forestali di oggi sono il frutto di secoli di interazione fra natura e azione antropica. L’articolo, tuttavia, non affronta ma anzi demonizza il valore e la complessità che sta alla base dell’interazione sostenibile tra esseri umani ed ecosistemi forestali. Le approssimazioni che emergono dall’articolo sono tante. Tuttavia, a parere di chi scrive, due elementi meritano non solo una precisazione ma piuttosto una rettifica.
Affermare che: “i boschi potrebbero fare a meno dell’uomo mentre noi abbiamo un enorme bisogno di piante floride e sane, non foss’altro che per mitigare l’effetto serra in atmosfera e contrastare l’effetto climatico” significa banalizzare un tema complesso come quello della gestione forestale e abbracciare, conseguentemente, la logica dell’abbandono.
Per rendere le foreste più resistenti, resilienti e in salute, capaci quindi di potersi adattare agli eventi climatici estremi quali tempeste, siccità, incendi e parassiti è necessario realizzare interventi di gestione forestale. Questo significa anche dover “tagliare degli alberi”, o meglio, effettuare degli interventi selvicolturali. La gestione forestale non è sempre e necessariamente indirizzata a un vantaggio sul piano economico. Ad esempio, l’accumulo non controllato di biomassa può portare all’aumento della frequenza e della severità delle infestazioni parassitarie e degli incendi boschivi.
È infatti evidente che la mancata cura dei territori e dei boschi, quando non monitorata, può portare a fenomeni di instabilità idrogeologica e depauperamento del capitale sociale ed economico connesso con gli ecosistemi forestali. La gestione responsabile e sostenibile delle foreste, basata quindi su una corretta e oculata pianificazione selvicolturale e territoriale, è finalizzata alla cura e alla protezione del bosco. Anche decidere di “non tagliare il bosco”, e quindi avere soprassuoli boschivi a protezione integrale, ad esempio per tutelare e favorire la biodiversità, è una forma di gestione forestale.
L’altro aspetto riguarda l’energia da biomasse legnose che viene definita un “raggiro”. Dall’articolo traspare, infatti, e non troppo velatamente, che il legno utilizzato come fonte energetica non sarebbe da considerarsi né rinnovabile né tanto meno neutrale dal punto di vista carbonico. È sicuramente vero che il processo di combustione della biomassa legnosa comporta l’emissione di CO2 in atmosfera. Tuttavia, nell’articolo non si fa nessun riferimento alla differenza fra le emissioni derivanti dal legno e dai combustibili fossili, la principale causa della crisi climatica che provoca proprio i danni alle foreste che oggigiorno dobbiamo affondare. È infatti fondamentale ricordare che la combustione di biomassa legnosa comporta l’emissione in atmosfera di carbonio biogenico, riconducibile a un ciclo chiuso, breve e naturalmente in atto. La combustione di fonti fossili, al contrario, rilascia carbonio che è stoccato nel sottosuolo da milioni di anni (carbonio non biogenico), risultando quindi un’immissione netta in atmosfera ad opera dell’uomo.
Nel ciclo del carbonio biogenico nel momento in cui si taglia una pianta si genera un temporaneo debito carbonico: si apre cioè uno scarto temporale tra l’emissione di CO2 in fase di combustione e il suo successivo riassorbimento grazie all’accrescimento del bosco dopo il taglio. Al concetto di “temporaneo debito di carbonio” va infine affiancato quello per cui la capacità di assorbimento della CO2 di un bosco non va considerata a livello di singolo albero o di singola particella forestale, bensì a livello più ampio di soprassuolo forestale. Quando la biomassa proviene da foreste in cui gli stock di carbonio sono stabili o in aumento, come nel caso italiano ed europeo, le emissioni di CO2 al momento della combustione sono compensate dalla crescita delle foreste in cui è stato prodotto il biocombustibile legnoso.
Inoltre, se consideriamo le emissioni derivanti dall’intero ciclo di vita del combustibile, adottando il cosiddetto Life Cycle Assessment (LCA) che tiene conto dei flussi complessivi di CO2 derivanti da tutte le operazioni che consumano energia, emerge che a parità di energia termica prodotta l’uso delle biomasse legnose consente di ridurre le emissioni di CO2eq tra l’89% e il 94% rispetto ai combustibili fossili tradizionali.
Di conseguenza, se impiegata in filiere territoriali basate su una corretta pianificazione forestale e in impianti tecnologicamente all’avanguardia, l’energia dal legno è una soluzione per la crisi climatica e la sicurezza energetica. In Italia il 17% delle famiglie fa uso di legna (di cui circa il 60% in tutto o in parte con autoapprovvigionamento) e il 7,3% di pellet. Attualmente il 64% di tutto il calore rinnovabile prodotto nel nostro Paese proviene da bioenergie che saranno destinate a ricoprire una quota importante di calore rinnovabile anche al 2030, pari al 43% secondo il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), contribuendo così al mix energetico di energia termica rinnovabile. Le biomasse legnose sono, infine, un prezioso alleato per la democrazia energetica, considerando che nel nostro Paese ci sono ancora oltre 2 milioni di famiglie, circa il 7,7% del totale, che si trovano in una condizione di povertà energetica.
Per dare valore al bosco è necessario riconoscere le tante funzioni fondamentali che esso ha, conciliando le funzioni di conservazione con le necessità di gestione. Come abbiamo ribadito nel Position paper “Gestione forestale e sostenibilità degli usi energetici delle biomasse forestali” un uso efficiente, sostenibile e “a cascata” delle biomasse forestali permette di aumentare il valore prodotto dai boschi italiani e contribuirebbe a stabilizzare la filiera locale e nazionale del legno grazie ad un utilizzo circolare delle risorse, limitando le importazioni sia di legname che di combustibili fossili, oltre che di biocombustibili legnosi.
Quindi, ancora una volta, quando si parla di foreste e di energia dal legno tutto dipende dal contesto e dalla capacità di gestire problematiche e dinamiche enormemente complesse. Facciamo tutti uno sforzo per non banalizzarle.