Serve un cambio di paradigma nella comunicazione “green”. Lo richiedono i più recenti sviluppi normativi come la direttiva Empowering contro le pratiche sleali dell’informazione nella transizione verde, e la proposta di direttiva sui Green Claims (dichiarazioni ambientali) che fisserà nuove regole contro i messaggi ingannevoli
Nel panorama europeo, le pratiche di pubblicità ingannevole greenwashing sono sempre più sotto la lente delle istituzioni, che mirano a contrastare i messaggi ingannevoli in tema di sostenibilità ambientale. In un settore come quello del riscaldamento a biomasse legnose, la comunicazione ambientale gioca un ruolo strategico e necessita dunque della massima attenzione da parte di aziende e associazioni rispetto alla correttezza delle informazioni comunicate.
Un’importante occasione per approfondire il tema è arrivata dal webinar organizzato giovedì 13 febbraio 2025 da AIEL durante il quale i relatori, gli avvocati Federica Furlan, Marina Savio, Carmen Papaleo di LCA Studio Legale di Milano, con la moderazione di Matteo Favero, responsabile Area biocombustibili e certificazioni di qualità di AIEL, hanno illustrato le principali novità normative in ambito europeo e italiano, soffermandosi sulle nuove Direttive che disciplinano le dichiarazioni ambientali per prodotti e servizi. L’obiettivo è fornire alle aziende del comparto biomassa gli strumenti per una comunicazione chiara, verificabile e trasparente, al riparo dal rischio di incorrere in pratiche ingannevoli.
Che cos’è il greenwashing
Il greenwashing consiste nell’adottare strategie di comunicazione fuorvianti, finalizzate a costruire un’immagine “green” di un brand o di un servizio ingannevolmente positiva in termini di impatto ambientale, al fine di distogliere l’attenzione del pubblico dagli effetti ambientali negativi delle sue attività. Nel contesto del riscaldamento domestico a legna e pellet, tale pratica può manifestarsi, ad esempio, quando un’azienda formula asserzioni ambientali generiche sul proprio prodotto senza fornire dati misurabili. Le iniziative legislative europee più recenti mirano a prevenire queste distorsioni, garantendo al consumatore la veridicità delle asserzioni sull’impatto ambientale di caldaie, stufe e sistemi di riscaldamento.
Il quadro normativo europeo: focus su Direttive attive e nuove proposte
I relatori hanno approfondito i punti chiave della Direttiva (UE) 2005/29 contro le pratiche commerciali sleali, che include il greenwashing come una delle fattispecie vietate. Importante anche la Direttiva (UE) 2024/825 Empowering Consumers, in vigore dal marzo 2024, che identifica alcune pratiche ambientali ritenute sempre ingannevoli, come l’uso di marchi di sostenibilità non basati su certificazioni di terze parti e standard riconosciuti, o l’annuncio di una neutralità carbonica ottenuta unicamente con l’acquisto di crediti di compensazione, senza reali riduzioni emissive. La recente proposta di Direttiva Green Claims del 2024, non ancora definita, va nella direzione di rafforzare ulteriormente i vincoli sulle dichiarazioni “green” non supportate da dati scientifici.
Comunicare correttamente riduzione delle emissioni e vantaggi ambientali
Nell’ambito del riscaldamento domestico a legna, pellet e cippato, evidenziare i benefici ambientali legati all’uso di fonti rinnovabili significa mettere in luce un plus fondante del settore, purché tali affermazioni siano supportate da dati tecnici verificabili. Le aziende di costruzione degli apparecchi possono, ad esempio, dichiarare che i propri generatori di calore riducono le emissioni di CO₂ rispetto ai combustibili fossili, a patto di fornire dati precisi e circostanziati e fornendo riferimenti a studi o certificazioni indipendenti, evitando formule generiche (“completamente green”) o future promesse non corroborate da piani concreti, ad esempio “diventeremo 100% sostenibili in 5 anni”. Le normative più recenti come la Direttiva Empowering introducono inoltre il divieto di presentare miglioramenti ambientali obbligatori per legge come fossero un plus esclusivo del prodotto.
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Cosa rischiano le imprese in caso di greenwashing
Oltre all’aspetto reputazionale (un’azienda scoperta a diffondere claim ingannevoli subisce un danno di immagine che può compromettere la fiducia della clientela e dei partner commerciali) esiste un rischio concreto di sanzioni elevate.
In Italia, trovano infatti applicazione il D.lgs. 205/2006 (Codice del Consumo) e il D.lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa delle imprese), in base ai quali un’azienda che diffonde claim ambientali non veritieri può incorrere non solo in sanzioni economiche fino a 10 milioni di euro o al 4% del fatturato, nel caso di pratiche scorrette a livello europeo, ma anche in possibili responsabilità penali (truffa o frode in commercio).
La Procura della Repubblica può quindi ipotizzare reati di truffa o frode in commercio nel caso in cui il greenwashing abbia procurato vantaggi economici indebiti. Le imprese più strutturate potrebbero essere soggette a responsabilità amministrativa ai sensi del D.lgs. 231/2001, con conseguente responsabilità penale, ove l’organizzazione non abbia adottato modelli di prevenzione dei reati o abbia messo in atto una condotta ingannatoria mediante artifici o raggiri che abbia descritto una falsa rappresentazione della realtà.
Sul piano amministrativo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), che vigila su questo ambito, può erogare multe fino al 4% del fatturato e ordinare il blocco immediato di campagne pubblicitarie ritenute ingannevoli.
Per informazioni
Le aziende associate ad AIEL-Associazione Italiana Energie Agroforestali interessate ad approfondire maggiormente il tema della comunicazione ambientale possono richiedere le slide dell’evento via email a Matteo Favero: favero.aiel@cia.it