Il principio dell’uso in cascata, richiamato dalla Direttiva sulle Energie Rinnovabili, secondo il quale il recupero energetico contribuisce a ridurre la generazione di energia da fonti non rinnovabili nel caso in cui nessun altro uso della biomassa legnosa sia economicamente sostenibile, è ampiamente condivisibile e mette in risalto le specificità nazionali degli Stati Membri in ambito forestale. Questo stesso principio si scontra, tuttavia, con l’applicazione del concetto di “biomassa legnosa primaria” introdotto nel nuovo testo della direttiva.
Il passaggio più significativo dell’applicazione della definizione di biomassa legnosa primaria si ha in riferimento all’Art. 29 “Criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa” in cui, dopo il primo comma è inserito il seguente: “L’energia prodotta da combustibili solidi da biomassa non è presa in considerazione ai fini di cui alla lettera c) del primo comma se derivano da biomassa legnosa primaria ai sensi dell’articolo 2 della presente direttiva. Al fine di contribuire al conseguimento dell’obiettivo in materia di energie rinnovabili di cui all’articolo 3, paragrafo 1, la quota di energia ottenuta da combustibili solidi da biomassa derivanti da biomassa legnosa primaria quale definita all’articolo 2 della presente direttiva non supera la quota del consumo energetico complessivo della media di tale combustibile nel periodo 2017-2022 sulla base degli ultimi dati disponibili”.
La c) disciplina nello specifico la possibilità di accedere ai sussidi: “c) per determinare se il consumo di biocarburanti, di bioliquidi e di combustibili da biomassa possa beneficiare di sostegno finanziario”.
Cosa è la biomassa legnosa primaria?
Come indicato nell’Emendamento 42 votato favorevolmente dal Parlamento europeo, per biomassa legnosa primaria si intende: “tutto il legname tondo abbattuto o altrimenti raccolto e rimosso. Comprende tutto il legname ottenuto da rimozioni, ossia le quantità prelevate dalle foreste, compreso il legname recuperato a causa della mortalità naturale e da abbattimenti e disboscamenti. Include tutto il legname rimosso con o senza corteccia, compreso il legname rimosso nella sua forma tonda, o spaccato, grossolanamente squadrato o in altre forme, ad esempio rami, radici, ceppi e nodi (laddove essi siano raccolti) e il legname grossolanamente sagomato o appuntito. Non comprende la biomassa legnosa ottenuta da misure sostenibili di prevenzione degli incendi boschivi in zone ad alto rischio di incendi, la biomassa legnosa ottenuta da misure di sicurezza stradale e la biomassa legnosa estratta da foreste colpite da catastrofi naturali, parassiti o da malattie attivi per prevenirne la diffusione, riducendo al minimo l’estrazione del legname e proteggendo la biodiversità, dando luogo a foreste più diversificate e resilienti, e si basa sugli orientamenti della Commissione”.
La definizione di biomassa legnosa primaria (PWB) esclude quindi dai possibili usi energetici tutta la materia prima boschiva priva di un altro uso commerciale o la biomassa legnosa di bassa qualità che deriva da attività di diradamento e di gestione del bosco e che, in base alle normali pratiche selvicolturali, deve essere rimossa per garantire la salute e la produttività delle foreste.
Escludere la biomassa legnosa primaria è una scelta realmente sostenibile?
Molta biomassa legnosa prelevata in foresta nel corso delle normali operazioni forestali non è adatta all’uso in settori diversi da quello energetico. Infatti, il legno può essere di scarso o nullo valore perché danneggiato, spaccato, piegato, marcito o troppo piccolo per l’uso commerciale. Il legno che presenta queste caratteristiche non può essere lavorato dalle segherie e talvolta neppure dall’industria della cellulosa e della carta. L’attuale direttiva sulle energie rinnovabili (REDII) garantisce la sostenibilità della biomassa utilizzata per scopi energetici, assicurando la protezione della biodiversità, il mantenimento degli stock di carbonio e le utilizzazioni in conformità al regolamento LULUCF. Se, in base alla definizione di biomassa legnosa primaria, la materia prima di bassa qualità non può essere utilizzata per produrre bioenergia, verrebbe lasciata in bosco rendendo il soprassuolo forestale ulteriormente vulnerabile a focolai di parassiti, incendi e altri potenziali rischi. Pertanto, la legislazione deve poter consentire la flessibilità per gli operatori forestali di rimuovere e commercializzare biomassa anche di bassa qualità.
A tale proposito si ricorda che il report sull’uso della biomassa legnosa per la produzione di energia nell’UE (2021) pubblicato dal Centro comune di ricerca della Commissione Europea (JRC) affronta le tematiche dell’uso della biomassa legnosa per scopi energetici ed evidenzia come un divieto assoluto di utilizzare la biomassa legnosa primaria per la produzione di energia non sia una scelta da adottare. La “possibile regolamentazione delle fonti di bioenergia forestale sulla base delle categorie di materie prime legnose (es. solo residui o diradamenti, no ceppaie, ecc.) è stata approfondita nel dettaglio ed è stato concluso che, a seguito dell’ampia varietà di condizioni fra i diversi Stati Membri, è difficile definire in modo univoco e attuare in modo significativo tali restrizioni in una legislazione dell’UE. Il rischio è quello di complicare la conformità senza necessariamente promuovere un’ulteriore sostenibilità o conservazione della biodiversità” (Report JRC (2021), pag. 92).
Quindi, è possibile affermare che la definizione di biomassa legnosa primaria non rappresenta un parametro efficiente e adeguato a determinare la sostenibilità della biomassa legnosa stessa, dal momento che non si tratta di un indicatore di qualità o di specifico uso finale. Inoltre, l’idea che la biomassa legnosa primaria non sia sostenibile si basa su una errata comprensione di come funziona il settore forestale e le industrie ad esso connesse.
La selvicoltura deve rimanere di competenza degli Stati Membri
Ridurre al minimo gli impatti sulla biodiversità e sulla qualità del suolo, così come garantire gli usi sostenibili della biomassa legnosa a scopi energetici sono obiettivi chiave, che non solo devono essere perseguiti ma seriamente rafforzati. Perché ciò sia attuabile è necessario, tuttavia, che gli strumenti e i requisiti utilizzati siano applicabili alle varie tipologie di foresta e alle realtà forestali in essere, indipendentemente da dove trova origine la biomassa forestale. Pertanto, per garantire l’efficacia e l’adeguatezza delle azioni politiche è necessario che gli strumenti e le azioni siano dettagliati a livello nazionale, regionale e locale. La definizione di selvicoltura deve, quindi, basarsi su linee guida esistenti, accettate e applicate a livello di Stato membro. Possiamo, infatti, convenire che, ad esempio, la realtà forestale svedese sia profondamente diversa da quella italiana, per tipologia di soprassuolo forestale, per modelli di utilizzazione, per quantità di biomassa prelevata annualmente dalle foreste e per “scuola forestale” applicata (banalmente in Italia il taglio raso è vietato). Quindi, in conformità al principio di sussidiarietà, le disposizioni regolatorie sulla gestione forestale sostenibile non possono essere coperte dalla legislazione europea bensì dalle autorità nazionali, regionali e locali.
È giusto, anzi sacrosanto combattere le storture di un sistema che talvolta può presentare dei profili poco trasparenti, ma per farlo bisogna agire localmente stimolando gli Stati membri ad intensificare una gestione forestale sostenibile e responsabile, valorizzando l’uso a cascata nel contesto nazionale e rafforzando i controlli da parte delle autorità preposte.
Quindi, accogliamo con favore il voto del Parlamento europeo di avere un Implementing act e non un atto delegato come era stato inizialmente proposto. In ogni caso, la scelta migliore potrebbe essere quella di fare riferimento al “principio” dell’uso a cascata, come proposto dal Consiglio europeo, senza ricorrere ad una legislazione secondaria. Questa scelta non solo garantirebbe di raggiungere gli obiettivi di salvaguardia delle foreste che l’Europa si è giustamente posta, tenendo conto al contempo, delle specificità e dei contesti nazionali, responsabilizzando gli Stati membri ad avviare politiche forestali virtuose, ed eviterebbe di creare effetti distorsivi per il settore forestale.