ISO 17225-5: la legna molto secca non è classificabile. AIEL invia a ISO una proposta di modifica

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Secondo la norma ISO 17225-5 la legna sotto il 10% di contenuto idrico non può mai essere classificata; ciò però crea dei problemi ad alcuni operatori di mercato. Per questo AIEL ha inoltrato una proposta formale alla ISO di abbassare il limite inferiore dal 10 all’8% mediante un emendamento o revisione minore della norma

Sempre più, la certificazione di qualità dei biocombustibili (pellet, legna da ardere, cippato, bricchette) è un requisito normativo che permette, a livello sia nazionale sia regionale, di accedere agli incentivi e di salvaguardare la qualità dell’aria.

La qualità dei biocombustibili è definita da un insieme di caratteristiche, parametri e valori che vengono standardizzati e adottati da norme tecniche riconosciute a livello internazionale. A loro volta, su queste norme si basano gli schemi di certificazione come Biomassplus® per legna da ardere, cippato di legno e bricchette, mentre per il pellet è lo schema ENplus® è il più diffuso in Italia e nel mondo.

È quindi importante che i parametri e i valori che determinano lo “stato dell’arte” del settore vengano stabiliti con particolare precisione e realismo, prima di essere adottati nelle norme tecniche internazionali.

La legna molto secca non è certificabile

La norma tecnica ISO 17225-5:2021 (Biocombustibili solidi – Specifiche e classi dei combustibili. Parte 5: Legna da ardere classificata) stabilisce le classi di qualità della legna da ardere, e la certificazione Biomassplus® ne adotta le caratteristiche qualitative, distinte per classe di qualità.

In seguito alla revisione internazionale, avvenuta nel 2021, della norma ISO 17225-5, è stato introdotto anche un limite massimo per il contenuto idrico della legna da ardere: al di sotto del 10% (in peso, sul tal quale) la legna non può mai essere classificata secondo la norma, poiché il limite è “orizzontale” e condiviso da tutte le classi di qualità. In alcuni casi, questo crea difficoltà agli operatori di mercato che devono raggiungere livelli elevati di essiccazione artificiale, ma le difficoltà non mancano nemmeno con la stagionatura naturale.

Infatti, in quelle circostanze logistiche (trasporto marittimo) o di mercato (imballaggi in cartone) che richiedono una legna altamente essiccata, il limite minimo di contenuto idrico impedisce la classificazione di grandi quantità di legna che, di conseguenza, non possono essere nemmeno certificate.

In particolare, il trasporto via mare di bancali di legna può richiedere tempi lunghi, e gli alti livelli di umidità e temperatura all’interno dei container possono innescare lo sviluppo di muffe e carie che renderebbero la legna inidonea sul piano commerciale. Per evitare questi problemi, gli esportatori aumentano l’essiccazione artificiale della legna, raggiungendo livelli di contenuto idrico prossimi all’8% in peso. Così facendo, però, la legna non è più classificabile, né certificabile.

Inoltre, in alcuni segmenti di mercato come la grande distribuzione, le vendite di legna in confezioni di cartone piccole e maneggevoli stanno aumentando considerevolmente. Anche in questi casi, per motivi che spaziano dalla prevenzione dei danni all’imballaggio in cartone fino all’ottimizzazione del volume e del peso del prodotto, sono auspicabili alti tassi di essiccazione artificiale.

Infine, il limite minimo del 10% di contenuto idrico può rivelarsi critico anche per la legna da ardere stagionata in modo naturale in zone calde e ventose, frequenti nelle aree mediterranee, Italia inclusa.

Una soluzione è possibile

Il motivo per cui è stato introdotto anche un limite minimo di contenuto idrico, in aggiunta ai ben più significativi limiti massimi (20 % per la classe di qualità A1, 25 % per la classe A2 e 35 % per la classe B), consiste nel fatto che la legna troppo secca può avere effetti dannosi nella combustione di stufe e caldaie domestiche, specialmente per le emissioni inquinanti in atmosfera.

Grafici 1 e 2 – Effetto del contenuto idrico del legno sulle emissioni di polveri da parte di una stufa “Buderus blueline No. 12” di potenza termica nominale pari a 8 kW.

L’individuazione del limite minimo si è basata su quello che è parso il buon compromesso di una “cifra tonda”. Tuttavia, prove tecnico-scientifiche dimostrano che i livelli critici di emissioni in atmosfera si verificano ben al di sotto del 10% di contenuto idrico e le emissioni rilevate all’8% corrispondono sostanzialmente a quelle del 20%, che è il limite massimo per la classe di qualità A1 (la migliore). In altre parole, un contenuto idrico pari all’8% garantisce le stesse prestazioni del limite massimo.

Pertanto, per evitare che rilevanti quantità di legna da ardere di buona qualità non possano essere classificate e certificate, il limite minimo di contenuto idrico stabilito dalla norma ISO 17225-5 dovrebbe essere riconsiderato e modificato, portandolo dal 10% all’8%.

Questa proposta, sviluppata da AIEL, è stata adottata dal Comitato tecnico sui biocombustibili solidi (CT 282) del Comitato Termotecnico Italiano (CTI), di cui si avvale l’Ente Italiano di Normazione (UNI), ed è stata trasmessa al corrispondente Comitato tecnico e Gruppo di lavoro (TC 238/WG 2) dell’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO). In seguito alla valutazione di tale proposta, il Gruppo di lavoro internazionale, a cui AIEL partecipa, potrebbe decidere di modificare il limite inferiore del 10% mediante un emendamento o revisione minore, oppure avviare una revisione completa della norma tecnica.

Le aziende aderenti al Gruppo Biomasse di AIEL saranno tempestivamente informate degli sviluppi normativi. Scopri i servizi dedicati al Gruppo Biomasse e scrivi a biomassplus.aiel@cia.it